Galli: la variante inglese di SARS-CoV-2 è capace di...

La variante inglese VUI-202012/01 desta preoccupazione perché...

Galli: la variante inglese di SARS-CoV-2 è capace di diffondersi più velocemente ma non è in dubbio l’efficacia dei vaccini

La variante inglese VUI-202012/01 desta preoccupazione perché sembrerebbe in grado di diffondersi con maggiore facilità ma secondo l’esperto non comprometterà l’efficacia dei vaccini. Fondamentali restano le azioni di contenimento e di monitoraggio del virus.

La nuova variante denominata VUI-202012/01 (Variant Under Investigation, year 2020, month 12, variant 01) ed identificata per la prima volta in Gran Bretagna sembrerebbe in grado di diffondersi con maggiore facilità rispetto alle varianti finora circolate. Per precauzione diversi paesi, compresa l’Italia, hanno sospeso i voli da e verso il Regno Unito mentre i ricercatori sono al lavoro per studiare il nuovo ceppo virale. Abbiamo raggiunto il professor Massimo Galli, responsabile della Divisione Malattie Infettive 3 dell’Ospedale Sacco di Milano e gli abbiamo rivolto alcune domande.

Cosa sappiamo della variante inglese?
Da quello che siamo in condizione di sapere in questo momento, il nuovo ceppo di Sars-CoV-2 è stato per la prima volta evidenziato a Londra e nel Kent lo scorso settembre. Pertanto è altamente verosimile che la cosiddetta “variante inglese” del virus sia già presente in diversi paesi europei da alcuni mesi. Dalle prime osservazioni sembra che questo nuovo ceppo abbia un’aumentata efficacia replicativa rispetto ai precedenti e che sia in grado di diffondersi più velocemente, con una trasmissibilità aumentata fino al 70%. Il vero intervento di contenimento del virus, anche rispetto a questa nuova variante, va quindi fatto non tanto bloccando gli arrivi dall’Inghilterra ma evitando che si verifichino nuove infezioni.

È una variante più pericolosa in termini di capacità di indurre malattia grave?
I dati al momento disponibili sembrerebbero suggerire che non siamo di fronte ad una malattia più grave, ma ad una forma di COVID-19 sostanzialmente simile a quella causata dalle altre varianti. Ciò che però potrebbe succedere è che questo ceppo diventi predominante sugli altri ceppi presenti. Ancora una volta gli interventi di contenimento sono fondamentali per impedire alla nuova variante di dilagare.

Questa nuova variante potrebbe in qualche modo influenzare le prestazioni di alcuni test diagnostici o compromettere l’efficacia dei vaccini oggi disponibili?
È verosimile che allo stato attuale questa nuova variante non sia così diversa dalle altre da mettere in crisi i test diagnostici. Per lo stesso motivo non credo si debba pensare ad una variante in grado di rendere inefficaci i vaccini. Questa variante del virus presenta sulla proteina spike una mutazione in posizione 501, la delezione delle basi 69-70 e una terza mutazione, P681H, che potrebbe avere una significativa rilevanza biologica facilitandone la diffusione. Questi aspetti meritano sicuramente un’attenta valutazione ma allo stato attuale non dovrebbero implicare un aggravamento della malattia o della letalità e, soprattutto, la messa in discussione dell’efficacia dei vaccini. Il ceppo inglese va monitorato e a tal riguardo vale la pena ribadire l’importanza di un sistema di sorveglianza efficace: cosa che in Europa e in Italia andrebbe quantomeno perfezionata. In Gran Bretagna il Covid-19 Genomics Consortium, che comprende le maggiori università del paese, è stato finanziato con 20 milioni di sterline e ha potuto realizzare oltre 50mila sequenze genomiche di SARS-CoV-2, permettendo tra l’altro di identificare questa variante. In Italia il gruppo di studio Scire, acronimo di 'Sars Cov2 initiative research enterprise', che coinvolge 22 centri di ricerca sul coronavirus, non è stato minimamente supportato a livello finanziario. Da noi la ricerca è poco considerata anche quando servirebbe, come in questo caso, per dare risposte immediate per il controllo della pandemia.

La nuova variante denominata VUI-202012/01 (Variant Under Investigation, year 2020, month 12, variant 01) ed identificata per la prima volta in Gran Bretagna sembrerebbe in grado di diffondersi con maggiore facilità rispetto alle varianti finora circolate. Per precauzione diversi paesi, compresa l’Italia, hanno sospeso i voli da e verso il Regno Unito mentre i ricercatori sono al lavoro per studiare il nuovo ceppo virale. Abbiamo raggiunto il professor Massimo Galli, responsabile della Divisione Malattie Infettive 3 dell’Ospedale Sacco di Milano e gli abbiamo rivolto alcune domande.

Cosa sappiamo della variante inglese?
Da quello che siamo in condizione di sapere in questo momento, il nuovo ceppo di Sars-CoV-2 è stato per la prima volta evidenziato a Londra e nel Kent lo scorso settembre. Pertanto è altamente verosimile che la cosiddetta “variante inglese” del virus sia già presente in diversi paesi europei da alcuni mesi. Dalle prime osservazioni sembra che questo nuovo ceppo abbia un’aumentata efficacia replicativa rispetto ai precedenti e che sia in grado di diffondersi più velocemente, con una trasmissibilità aumentata fino al 70%. Il vero intervento di contenimento del virus, anche rispetto a questa nuova variante, va quindi fatto non tanto bloccando gli arrivi dall’Inghilterra ma evitando che si verifichino nuove infezioni.

È una variante più pericolosa in termini di capacità di indurre malattia grave?
I dati al momento disponibili sembrerebbero suggerire che non siamo di fronte ad una malattia più grave, ma ad una forma di COVID-19 sostanzialmente simile a quella causata dalle altre varianti. Ciò che però potrebbe succedere è che questo ceppo diventi predominante sugli altri ceppi presenti. Ancora una volta gli interventi di contenimento sono fondamentali per impedire alla nuova variante di dilagare.

Questa nuova variante potrebbe in qualche modo influenzare le prestazioni di alcuni test diagnostici o compromettere l’efficacia dei vaccini oggi disponibili?
È verosimile che allo stato attuale questa nuova variante non sia così diversa dalle altre da mettere in crisi i test diagnostici. Per lo stesso motivo non credo si debba pensare ad una variante in grado di rendere inefficaci i vaccini. Questa variante del virus presenta sulla proteina spike una mutazione in posizione 501, la delezione delle basi 69-70 e una terza mutazione, P681H, che potrebbe avere una significativa rilevanza biologica facilitandone la diffusione. Questi aspetti meritano sicuramente un’attenta valutazione ma allo stato attuale non dovrebbero implicare un aggravamento della malattia o della letalità e, soprattutto, la messa in discussione dell’efficacia dei vaccini. Il ceppo inglese va monitorato e a tal riguardo vale la pena ribadire l’importanza di un sistema di sorveglianza efficace: cosa che in Europa e in Italia andrebbe quantomeno perfezionata. In Gran Bretagna il Covid-19 Genomics Consortium, che comprende le maggiori università del paese, è stato finanziato con 20 milioni di sterline e ha potuto realizzare oltre 50mila sequenze genomiche di SARS-CoV-2, permettendo tra l’altro di identificare questa variante. In Italia il gruppo di studio Scire, acronimo di 'Sars Cov2 initiative research enterprise', che coinvolge 22 centri di ricerca sul coronavirus, non è stato minimamente supportato a livello finanziario. Da noi la ricerca è poco considerata anche quando servirebbe, come in questo caso, per dare risposte immediate per il controllo della pandemia.


Ultimo aggiornamento: 28 Novembre 2023

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