GIOSEG: le raccomandazioni degli esperti su vitamina D e COVID-19

Dalla recente letteratura emerge il potenziale impatto negativo...

GIOSEG: le raccomandazioni degli esperti su vitamina D e COVID-19

Dalla recente letteratura emerge il potenziale impatto negativo dell’ipovitaminosi D sull’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 e sulla prognosi di COVID-19. Tuttavia, mancano ad oggi chiare linee guida su come gestire il rapporto tra vitamina D e COVID-19. Per questo motivo gli esperti del Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group hanno redatto un documento che illustra la posizione societaria sulla questione.

GIOSEG: le raccomandazioni degli esperti su vitamina D e COVID-19La vitamina D è un ormone chiave per la salute delle ossa e ha effetti extra-scheletrici rilevanti che possono giocare un ruolo importante nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19. La letteratura a riguardo è recente e controversa. Il Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group (GIOSEG), da sempre presente nel dibattito scientifico relativo alla prescrizione della vitamina D, si è spesso interfacciato con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per assicurare l’appropriatezza della sua prescrizione. Data la presente pandemia e la questione relativa alla relazione tra COVID-19 e vitamina D, GIOSEG ha incaricato un gruppo di soci esperti di redigere un documento che illustra la posizione societaria in merito e che ha rappresentato la base per la stesura di un Position Statement di recente pubblicazione (1).

Il documento è offerto alla comunità scientifica e a tutti gli stakeholder come base di discussione e proposta operativa di approccio alla diffusa carenza della vitamina D nel nostro Paese con le sue possibili implicazioni in ambito COVID-19.

 

Gli effetti extra-scheletrici della vitamina D
La vitamina D esercita molteplici effetti pleiotropici, oltre al suo ruolo cruciale nel metabolismo del calcio-fosfato e nell’omeostasi ossea. Il suo deficit viene associato a un rischio maggiore di contrarre tumori, malattie cardio-vascolari, diabete, obesità e malattie immunitarie. Dati osservazionali nell’uomo indicano che insufficienti livelli di vitamina D sono associati a diversi fattori di rischio cardiovascolare, a un aumentato rischio di infarto miocardico e mortalità per cause cardiovascolari. Inoltre è stata recentemente riscontrata anche una chiara associazione tra carenza di vitamina D e obesità.

L’evidenza scientifica ha suggerito che la vitamina D potrebbe svolgere azioni pleiotropiche anche nel sistema immunitario innato o acquisito, per la presenza di recettori della vitamina D nelle cellule immunitarie quali macrofagi, linfociti T e B, neutrofili e cellule dendritiche. Numerosi studi clinici hanno, infatti, rivelato associazioni tra deficit di vitamina D ed accresciuto rischio infettivo, soprattutto del tratto respiratorio superiore.

Per tutti questi motivi si osserva una crescente attenzione alla possibile correlazione tra i livelli di vitamina D e le infezioni da SARS-CoV-2 e, quindi, alla possibile utilità della supplementazione di questo ormone per la prevenzione e la terapia del COVID-19, specialmente nella popolazione anziana che è stata quella maggiormente colpita dal virus.

 

Vitamina D e COVID-19
Una correlazione tra deficit di vitamina D e gravità delle infezioni da SARS-CoV-2 viene segnalata soprattutto negli anziani, affetti spesso da più patologie croniche che possono influire sulla gravità dell’infezione. Il 65% dei casi più gravi presenta anche un deficit di vitamina D rispetto alla quota di pazienti che hanno contratto COVID-19 in forma più lieve. Il deficit di vitamina D è anche legato a maggiori tassi di ospedalizzazione e mortalità da COVID-19.

 

Le raccomandazioni del panel di esperti
La letteratura disponibile suggerisce che somministrare un supplemento di vitamina D ai pazienti COVID-19 ospedalizzati e, in particolare in terapia intensiva, potrebbe dare risultati positivi, benché manchino ad oggi evidenze certe sull’efficacia degli interventi.

Il panel ritiene che il ruolo principale della vitamina D sia quello di garantire alla popolazione ad alto rischio di ipovitaminosi D e di malattia respiratoria in corso di COVID-19 un livello adeguato di vitamina D, in considerazione del beneficio delle azioni osteoprotettive ed immunomodulatorie di questo ormone. A questo proposito è doveroso rilevare come gli uomini anziani siano tradizionalmente meno monitorati delle donne anziane; ciò è dovuto alla falsa opinione che attribuisce l’osteoporosi coinvolgere prevalentemente il sesso femminile, mentre prevalenza ed incidenza sono elevate anche nel genere maschile e, quindi, non è un caso che gli uomini ospedalizzati per COVID-19 abbiano livelli di vitamina D inferiori e presentino una prognosi meno favorevole rispetto alle donne.

  • Per questo motivo il panel raccomanda che tutti i pazienti ai quali sia già stata diagnosticata una condizione di ipovitaminosi D o abbiano in atto trattamenti farmacologici che richiedono supplementi di vitamina D (farmaci anti-osteoporotici, steroidei, farmaci anti-epilettici) continuino o inizino ad assumere vitamina D
  • Il panel raccomanda, inoltre, che gli over 80 assumano (inizino o continuino) supplementi di vitamina D a prescindere dal loro livello circolante di vitamina D, in particolare nei paesi dove non si usa addizionare la vitamina D agli alimenti e dove c’è una diffusa carenza vitaminica D. Tali somministrazioni dovrebbero avvenire indipendentemente dallo status istituzionale di vita del soggetto (residenza in autonomia o in RSA)
  • Il panel raccomanda che i soggetti over 65 di entrambi i sessi con comorbidità, come diabete o obesità che predispongono all’ipovitaminosi D e al COVID-19 grave, vengano attentamente valutati per il loro profilo di ipovitaminosi D con dosaggio della 25OHD; a tutti coloro che presentano livelli <20 ng/ml dovrebbero venire somministrati supplementi di vitamina D
  • Il panel suggerisce di prescrivere preferibilmente come supplemento di vitamina D le forme pre-attive per la loro documentata efficacia e sicurezza nella popolazione generale. Si consiglia di usare la vitamina D in forme attive solo per i pazienti con insufficienza epatica o insufficienza renale
  • Il panel raccomanda che la posologia non superi quella indicata dalle attuali linee guide e note AIFA per il trattamento della ipovitaminosi D, tali raccomandazioni potrebbero non valere per gli obesi che richiedono supplementi maggiori di vitamina D pre-attiva o attiva per raggiungere un adeguato livello circolante
  • Il panel raccomanda che la somministrazione di vitamina D continui durante tutto il periodo della pandemia. Per gli over 80 in trattamento potrebbe essere utile, ma non indispensabile, verificare i livelli di vitamina D circolanti per una eventuale correzione posologica, mentre la verifica di tali livelli durante il trattamento in soggetti più giovani è particolarmente raccomandata
  • Per quanto attiene alla campagna vaccinale non è stata pubblicata alcuna evidenza sul miglioramento delle risposte immunitarie dei vaccini COVID-19 quando lo status vitaminico D sia adeguato. Tuttavia, lo sforzo mondiale, senza precedenti, di vaccinare tutta la popolazione a rischio COVID-19, offrirebbe, secondo il punto di vista del panel, un’occasione unica di portare all’attenzione medica tutti i soggetti ai quali servirebbe il supplemento di vitamina D. Questo approccio potrebbe essere utile per affrontare la doppia questione pandemica - quella COVID-19 e quella della deficienza di vitamina D - somministrando insieme vitamina D e vaccino anti-COVID-19.

A questo proposito il panel raccomanda che si istituisca una rete nazionale tra istituzioni scientifiche e autorità sanitarie per condividere ed uniformare gli approcci preventivi e curativi della ipovitaminosi D nell’era pandemica COVID-19 onde migliorare l’appropriatezza e l’efficacia degli interventi sanitari.

 

Conclusioni
Raggiungere livelli di vitamina D adeguati in tutta la popolazione sarebbe una buona pratica medica per prevenire effetti negativi, scheletrici ed extra-scheletrici, di insufficienti livelli di vitamina D.

In uno scenario di breve periodo e considerando l’emergenza della situazione pandemica, il panel ritiene che le autorità sanitarie e le società scientifiche dovrebbero collaborare a istituire un network ad hoc per identificare i soggetti ai quali sia indispensabile fornire un supplemento di vitamina D (tutti i soggetti over 80) o identificarli con dosaggi biochimici mirati di vitamina D (over 65 con fattori di rischio per ipovitaminosi D e COVID-19). In uno scenario di lungo periodo, le autorità sanitarie dovrebbero prendere in considerazione la supplementazione alimentare di vitamina D.

Il panel ritiene che queste raccomandazioni debbano essere condivise e che siano da aggiungere ai piani di vaccinazione. Il panel ritiene, invece, che ad oggi non si disponga di sufficienti evidenze per modificare i protocolli sanitari di terapia ospedaliera del COVID-19 con l’indicazione della somministrazione di vitamina D ai pazienti ricoverati.

 

Vai al testo integrale: Vitamina D e COVID-19: il documento del GIOSEG

 

1. Ulivieri FM, Banfi G, Camozzi V, et al. Vitamin D in the Covid-19 era: a review with recommendations from a G.I.O.S.E.G. expert panel. Endocrine 72, 597–603 (2021).

 

GIOSEG: le raccomandazioni degli esperti su vitamina D e COVID-19La vitamina D è un ormone chiave per la salute delle ossa e ha effetti extra-scheletrici rilevanti che possono giocare un ruolo importante nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19. La letteratura a riguardo è recente e controversa. Il Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group (GIOSEG), da sempre presente nel dibattito scientifico relativo alla prescrizione della vitamina D, si è spesso interfacciato con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per assicurare l’appropriatezza della sua prescrizione. Data la presente pandemia e la questione relativa alla relazione tra COVID-19 e vitamina D, GIOSEG ha incaricato un gruppo di soci esperti di redigere un documento che illustra la posizione societaria in merito e che ha rappresentato la base per la stesura di un Position Statement di recente pubblicazione (1).

Il documento è offerto alla comunità scientifica e a tutti gli stakeholder come base di discussione e proposta operativa di approccio alla diffusa carenza della vitamina D nel nostro Paese con le sue possibili implicazioni in ambito COVID-19.

 

Gli effetti extra-scheletrici della vitamina D
La vitamina D esercita molteplici effetti pleiotropici, oltre al suo ruolo cruciale nel metabolismo del calcio-fosfato e nell’omeostasi ossea. Il suo deficit viene associato a un rischio maggiore di contrarre tumori, malattie cardio-vascolari, diabete, obesità e malattie immunitarie. Dati osservazionali nell’uomo indicano che insufficienti livelli di vitamina D sono associati a diversi fattori di rischio cardiovascolare, a un aumentato rischio di infarto miocardico e mortalità per cause cardiovascolari. Inoltre è stata recentemente riscontrata anche una chiara associazione tra carenza di vitamina D e obesità.

L’evidenza scientifica ha suggerito che la vitamina D potrebbe svolgere azioni pleiotropiche anche nel sistema immunitario innato o acquisito, per la presenza di recettori della vitamina D nelle cellule immunitarie quali macrofagi, linfociti T e B, neutrofili e cellule dendritiche. Numerosi studi clinici hanno, infatti, rivelato associazioni tra deficit di vitamina D ed accresciuto rischio infettivo, soprattutto del tratto respiratorio superiore.

Per tutti questi motivi si osserva una crescente attenzione alla possibile correlazione tra i livelli di vitamina D e le infezioni da SARS-CoV-2 e, quindi, alla possibile utilità della supplementazione di questo ormone per la prevenzione e la terapia del COVID-19, specialmente nella popolazione anziana che è stata quella maggiormente colpita dal virus.

 

Vitamina D e COVID-19
Una correlazione tra deficit di vitamina D e gravità delle infezioni da SARS-CoV-2 viene segnalata soprattutto negli anziani, affetti spesso da più patologie croniche che possono influire sulla gravità dell’infezione. Il 65% dei casi più gravi presenta anche un deficit di vitamina D rispetto alla quota di pazienti che hanno contratto COVID-19 in forma più lieve. Il deficit di vitamina D è anche legato a maggiori tassi di ospedalizzazione e mortalità da COVID-19.

 

Le raccomandazioni del panel di esperti
La letteratura disponibile suggerisce che somministrare un supplemento di vitamina D ai pazienti COVID-19 ospedalizzati e, in particolare in terapia intensiva, potrebbe dare risultati positivi, benché manchino ad oggi evidenze certe sull’efficacia degli interventi.

Il panel ritiene che il ruolo principale della vitamina D sia quello di garantire alla popolazione ad alto rischio di ipovitaminosi D e di malattia respiratoria in corso di COVID-19 un livello adeguato di vitamina D, in considerazione del beneficio delle azioni osteoprotettive ed immunomodulatorie di questo ormone. A questo proposito è doveroso rilevare come gli uomini anziani siano tradizionalmente meno monitorati delle donne anziane; ciò è dovuto alla falsa opinione che attribuisce l’osteoporosi coinvolgere prevalentemente il sesso femminile, mentre prevalenza ed incidenza sono elevate anche nel genere maschile e, quindi, non è un caso che gli uomini ospedalizzati per COVID-19 abbiano livelli di vitamina D inferiori e presentino una prognosi meno favorevole rispetto alle donne.

  • Per questo motivo il panel raccomanda che tutti i pazienti ai quali sia già stata diagnosticata una condizione di ipovitaminosi D o abbiano in atto trattamenti farmacologici che richiedono supplementi di vitamina D (farmaci anti-osteoporotici, steroidei, farmaci anti-epilettici) continuino o inizino ad assumere vitamina D
  • Il panel raccomanda, inoltre, che gli over 80 assumano (inizino o continuino) supplementi di vitamina D a prescindere dal loro livello circolante di vitamina D, in particolare nei paesi dove non si usa addizionare la vitamina D agli alimenti e dove c’è una diffusa carenza vitaminica D. Tali somministrazioni dovrebbero avvenire indipendentemente dallo status istituzionale di vita del soggetto (residenza in autonomia o in RSA)
  • Il panel raccomanda che i soggetti over 65 di entrambi i sessi con comorbidità, come diabete o obesità che predispongono all’ipovitaminosi D e al COVID-19 grave, vengano attentamente valutati per il loro profilo di ipovitaminosi D con dosaggio della 25OHD; a tutti coloro che presentano livelli <20 ng/ml dovrebbero venire somministrati supplementi di vitamina D
  • Il panel suggerisce di prescrivere preferibilmente come supplemento di vitamina D le forme pre-attive per la loro documentata efficacia e sicurezza nella popolazione generale. Si consiglia di usare la vitamina D in forme attive solo per i pazienti con insufficienza epatica o insufficienza renale
  • Il panel raccomanda che la posologia non superi quella indicata dalle attuali linee guide e note AIFA per il trattamento della ipovitaminosi D, tali raccomandazioni potrebbero non valere per gli obesi che richiedono supplementi maggiori di vitamina D pre-attiva o attiva per raggiungere un adeguato livello circolante
  • Il panel raccomanda che la somministrazione di vitamina D continui durante tutto il periodo della pandemia. Per gli over 80 in trattamento potrebbe essere utile, ma non indispensabile, verificare i livelli di vitamina D circolanti per una eventuale correzione posologica, mentre la verifica di tali livelli durante il trattamento in soggetti più giovani è particolarmente raccomandata
  • Per quanto attiene alla campagna vaccinale non è stata pubblicata alcuna evidenza sul miglioramento delle risposte immunitarie dei vaccini COVID-19 quando lo status vitaminico D sia adeguato. Tuttavia, lo sforzo mondiale, senza precedenti, di vaccinare tutta la popolazione a rischio COVID-19, offrirebbe, secondo il punto di vista del panel, un’occasione unica di portare all’attenzione medica tutti i soggetti ai quali servirebbe il supplemento di vitamina D. Questo approccio potrebbe essere utile per affrontare la doppia questione pandemica - quella COVID-19 e quella della deficienza di vitamina D - somministrando insieme vitamina D e vaccino anti-COVID-19.

A questo proposito il panel raccomanda che si istituisca una rete nazionale tra istituzioni scientifiche e autorità sanitarie per condividere ed uniformare gli approcci preventivi e curativi della ipovitaminosi D nell’era pandemica COVID-19 onde migliorare l’appropriatezza e l’efficacia degli interventi sanitari.

 

Conclusioni
Raggiungere livelli di vitamina D adeguati in tutta la popolazione sarebbe una buona pratica medica per prevenire effetti negativi, scheletrici ed extra-scheletrici, di insufficienti livelli di vitamina D.

In uno scenario di breve periodo e considerando l’emergenza della situazione pandemica, il panel ritiene che le autorità sanitarie e le società scientifiche dovrebbero collaborare a istituire un network ad hoc per identificare i soggetti ai quali sia indispensabile fornire un supplemento di vitamina D (tutti i soggetti over 80) o identificarli con dosaggi biochimici mirati di vitamina D (over 65 con fattori di rischio per ipovitaminosi D e COVID-19). In uno scenario di lungo periodo, le autorità sanitarie dovrebbero prendere in considerazione la supplementazione alimentare di vitamina D.

Il panel ritiene che queste raccomandazioni debbano essere condivise e che siano da aggiungere ai piani di vaccinazione. Il panel ritiene, invece, che ad oggi non si disponga di sufficienti evidenze per modificare i protocolli sanitari di terapia ospedaliera del COVID-19 con l’indicazione della somministrazione di vitamina D ai pazienti ricoverati.

 

Vai al testo integrale: Vitamina D e COVID-19: il documento del GIOSEG

 

1. Ulivieri FM, Banfi G, Camozzi V, et al. Vitamin D in the Covid-19 era: a review with recommendations from a G.I.O.S.E.G. expert panel. Endocrine 72, 597–603 (2021).

 


Ultimo aggiornamento: 23 Settembre 2022

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